Recensione "Station 19"
Spin-off di Grace Anatomy
Stato attuale:
in corso
Stagioni:
3
Durata media episodi: 42 min
Lingua originale: inglese
Rete televisiva americana: ABC
Rete televisiva italiana: Fox Life
Ho
iniziato a guardare Station 19 per
una purissima curiosità, forse mi aveva ispirato il fatto che fosse una di
quelle serie TV “jolly”, sull’onda di NCIS o Chicago Fire, che potrebbero
collezionare una tonnellata di stagioni e tenere comunque l’occhio incollato
allo schermo fino alla fine della puntata.
Non
immaginavo che sarebbe stato amore a prima vista, non potevo prevedere quanto
mi sarei sentita coinvolta nelle vicende dei personaggi, sia di quelli
protagonisti che di quelli che fanno una comparsa soltanto in una puntata. Le
storie di tutti i salvataggi, di tutte le famiglie, di tutte quelle vite,
arrivano dritti al cuore dei vigili del fuoco della Station 19 di Seattle, ma
pure al telespettatore. Niente mi avrebbe potuta preparare al carico emotivo di
certi episodi e di come mi sarei ritrovata a piangere a singhiozzi, consumando
fazzoletti su fazzoletti, faticando a volte a smettere.
Quel
che più mi ha colpita di questa serie è il fatto che lo spettatore si senta
veramente a casa: la Station 19 rappresenta veramente una famiglia unita, in
cui ogni singolo membro può contare sull’altro senza remore, non solo sul
lavoro, ma pure nella vita privata. I pasti al tavolo sono uno dei momenti che
più ho amato all’interno degli episodi: come una vera famiglia, ogni vigile del
fuoco si accomoda a quel tavolo e racconta un pezzo della propria vita che lo
affligge o che lo rende felice, facendo sì che pure i colleghi di lavoro ne
siano partecipi. Si tratta solitamente di momenti molto brevi, perché perlopiù
sono quasi sempre interrotti da una richiesta di aiuto, ma sono stati una delle
cose che più mi sono piaciute della serie.
La
serie conta soltanto 3 stagioni, ma una quarta è stata già confermata. Per ora,
tra tutte e 3, la mia preferita è la seconda.
La protagonista è Andy, una
ragazza che ha ereditato la passione per il suo lavoro dal padre, il capitano
Pruitt Herrera, che dalla prima puntata scopriamo già malato e costretto a
lasciare la propria carica lavorativa. Pruitt è però troppo testardo per poter
davvero distaccarsi da quella stazione in cui era uno dei pilastri, per questo
si aggrega a qualsiasi tipo di piccolo aiuto che possa offrire, passando dal
bancone della reception fino al pronto soccorso.
Andy
è una protagonista che ho sia amato, che odiato. È stata spesso il mio
personaggio preferito e poi anche quello che riuscivo meno ad apprezzare. Ne
amavo la forza che secondo me l’avrebbe candidata perfettamente per il ruolo di
capitano, ma non riuscivo ad apprezzare totalmente il modo pessimo in cui
gestisse le sue relazioni per così dire “amorose”. Nella prima stagione
troviamo Andy divisa a metà fra Jack, un suo collega di lavoro; e Ryan, il suo
amico di infanzia. In realtà è abbastanza chiaro che Andy non sia minimamente
interessata a niente di serio da entrambe le parti, nonostante i due ragazzi
vogliano da lei qualcosa di più importante di una semplice avventura
passeggera.
Perciò,
durante la prima stagione, il mio è un grandissimo NO al triangolo amoroso.
La
seconda stagione è quella che invece l’ha consolidata come un personaggio che
amavo. Andy matura sia sotto il profilo lavorativo che personale, ma
soprattutto entra in scena un personaggio in particolare che sembra surclassare
il triangolo amoroso della stagione precedente: sarò sincera, il rapporto che
si crea tra Andy e la new entry è ben costruito e il sentimento che ne nasce è
naturale e spontaneo. Credevo che Andy si sarebbe innamorata di questo
personaggio e il finale della seconda stagione me lo ha fatto anche credere:
questo fino alla terza stagione e a quella 3x16 che si è conclusa in quel modo
assurdo. Sapevo di dovermi preparare al colpo di scena finale, ma non pensavo
quanto ne sarei rimasta sconvolta ed arrabbiata al tempo stesso.
Vedremo
cosa succederà nella quarta stagione: Andy non è l’unica ad aver bisogno di
aiuto nella parte finale della terza serie, e spero che se ne renda conto.
Passiamo
adesso agli altri personaggi della serie e mi limiterò a parlare di quelli
della prima stagione per non fare spoiler. Partirei da quelli che hanno
totalmente il mio cuore: Victoria e Travis. Sono rimasta colpita dal modo in
cui mi sentissi tanto vicina alla mia amata Victoria: non è un personaggio
perfetto, anzi, è spesso impulsiva e tira fuori di bocca la prima cosa che le
passa per la mente. Ma è buona, coraggiosa e con un cuore enorme.
Il suo
rapporto con Travis, mi ha ricordato tanto quello che ho io con il mio migliore
amico. I loro piccoli “sketch” me li hanno fatti amare una puntata dopo
l’altra.
Per
Maya si è verificata un po’ la stessa cosa di Andy: l’ho adorata, ma l’ho anche
molto, molto odiata, soprattutto durante la terza stagione. Ma l’ho anche
compresa, avrei voluto starle accanto e dirle che sarebbe andato tutto bene. Il
suo background prima della Station 19 è parecchio intenso e doloroso.
Ben
Warren è il personaggio che mi ha conquistata sin dal primo episodio. Diciamoci
la verità: è il classico personaggio buono come il pane al quale non si può non volere bene. È il “novellino” che si conquista pian piano la fiducia e
l’amicizia di tutti, mentre il nostro cuore lo ha avuto sin da subito.
Anche
Dean mi è piaciuto molto, mi ha incuriosita molto la sua storia e il suo
rapporto problematico che lo lega alla sua famiglia. Da personaggio per così
dire “comico”, viene lentamente delineato, mostrando le sue fragilità,
soprattutto nel delicato episodio che lo porta a diventare un vigile del fuoco,
a discapito delle aspettative dei genitori severi.
E
ora passiamo a Jack. Durante la prima stagione (forse complice anche il
triangolo amoroso che non sopportavo), non riuscivo a farmelo piacere. In
generale si vuole bene un po’ a tutti i personaggi di questa serie, ma, non so
perché, non riuscivo ad affezionarmi a Jack, almeno fino a quando non si è
scoperto di più sul suo passato. Jack merita veramente il mondo, e forse, tra
tutti i ragazzi alla Station 19, è quello che ha sofferto di più: non solo per
la sua infanzia difficile, ma pure per i traumi con cui avrà a che fare nel
corso delle puntate, e soprattutto con tutte le responsabilità dei suoi errori,
che gli ricadranno pesanti come incudini, sopra le spalle.
Spero
che nella quarta stagione il povero Jack Gibson possa trovare un po’ di
tranquillità.
Station 19
non è una serie perfetta. Alcuni episodi della terza stagione li ho trovati un
po’ sottotono. Un altro fattore che secondo me penalizza un po’ le puntate, è
questa connessione così profonda con Grey’s
Anatomy. Io lo so che la serie nasce come spin-off di quest’ultima, ma
bisogna pure dire che sono veramente fin troppo connessi, e a volte ci si perde
qualche passaggio: niente di grave comunque. Io che non ho mai visto Grey’s Anatomy, sono comunque riuscita
ad afferrare tutto.
Ora
resto in attesa della quarta stagione, aspettando di scoprire cosa abbia da
riservarmi la serie da quel finale della terza in poi.
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